Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/321


dell'impero romano cap. xxvii. 317

Massimo desiderava d’occupare senza resistenza il passaggio delle alpi, accolse con perfide carezze Donnino della Siria, ambasciator di Valentiniano, e lo sollecitò ad accettare il soccorso d’un corpo considerabil di truppe per servire nella guerra Pannonica. La penetrazione d’Ambrogio aveva scoperto, sotto le proteste d’amicizia, le insidie d’un nemico1; ma Donnino della Siria fu corrotto o ingannato da’ liberali favori della Corte di Treveri; ed il Consiglio di Milano rigettò pertinacemente il sospetto di pericolo, con una cieca fiducia ch’era un effetto non già di coraggio, ma di timore. L’ambasciatore medesimo servì di scorta alla marcia degli ausiliari; e senza diffidenza veruna questi furono ammessi nelle fortezze delle alpi. Ma l’astuto tiranno seguitonne con celeri e taciti passi la retroguardia; e siccome diligentemente impedì ogni cognizione dei suoi movimenti, lo splendore delle armi, e la polvere che s’innalzava dalla cavalleria, diedero il primo annunzio dell’ostile avvicinamento d’uno straniero alle porte di Milano. In tal estremità, Giustina ed il suo figlio potevano accusare la propria imprudenza, ed i perfidi artifizi di Massimo; ma loro mancavano il tempo, la risolutezza e la forza per opporsi a’ Germani ed a’ Galli, sì nella campagna che dentro le mura d’una vasta e disaffezionata città. La fuga fu l’unica loro speranza, ed Aquileia l’unico refugio loro; ed avendo Massimo allora spiegato il proprio genuino carattere, il fratello di Graziano aspettare poteva la medesima sorte dalle

  1. Esto tutior adversus hominem pacis involucro tegentem. Tale fu il prudente avviso d’Ambrogio (Tom. II. p. 891) dopo che fu tornato dalla sua seconda ambasceria.