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316 storia della decadenza

no dell’Italia si trovò incapace di contendere col favorito del Cielo. Anche le potestà della terra s’interposero in difesa d’Ambrogio; il disinteressato avviso di Teodosio fu il genuino risultato della pietà e dell’amicizia, e la maschera dello zelo religioso coprì gli ostili ed ambiziosi disegni del tiranno della Gallia1.

[A. 387] Avrebbe Massimo potuto finire il suo regno in pace e prosperamente, se avesse saputo contentarsi del possesso di quelle tre vaste regioni, che adesso formano i tre più floridi regni dell’Europa. Ma l’intraprendente usurpatore, la sordida ambizione del quale non era nobilitata dall’amor della gloria e delle armi, risguardò le attuali sue forze, come istrumenti soltanto di sua futura grandezza, ed il successo da lui ottenuto, divenne la causa immediata della sua distruzione. Furono impiegate le somme ch’egli estorse2 dalle oppresse Province della Gallia, della Spagna e della Britannia, in arrolare e mantenere una formidabile armata di Barbari, presi per la maggior parte dalle più fiere nazioni della Germania. L’oggetto dei preparativi e delle speranze di esso era la conquista d’Italia; e segretamente meditava la rovina d’un innocente giovane, il governo del quale abborrivasi e disprezzavasi da’ suoi Cattolici sudditi. Ma poichè

  1. Tillemont. Mem. Eccl. Tom. X. p. 190, 750. Egli accorda parzialmente la mediazione di Teodosio, e capricciosamente rigetta quella di Massimo, quantunque si attesti da Prospero, da Sozomeno e da Teodoreto.
  2. La modesta censura di Sulpicio (Dial. III. 15) gli porta una ferita molto più profonda, che la debole declamazione di Pacato (XII. 25, 26).