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dell'impero romano cap. xxvii. 313

so di tutte le Chiese di Milano, e a dissimulare fino ad un’occasione più opportuna i suoi pensieri di vendetta. La madre di Valentiniano non potè mai perdonare ad Ambrogio simil trionfo; ed il giovane Reale esclamò nell’impeto della passione, che i suoi propri servi erano pronti a darlo nelle mani d’un insolente Prete.

[A. 386] Le leggi dell’Impero, alcune delle quali portavano in fronte il nome di Valentiniano, condannavano tuttavia l’eresia d’Arrio, e sembrava che scusassero la resistenza de’ Cattolici. Giustina fece sì che fosse promulgato in tutte le Province, sottoposte alla Corte di Milano, un editto di tolleranza; fu concesso a tutti quelli che professavano la fede di Rimini, l’esercizio libero di lor religione; e l’Imperatore dichiarò, che tutti coloro, che avessero trasgredito questa sacra e salutare costituzione, sarebbero stati puniti di morte, come nemici della pubblica pace1. Il linguaggio ed il carattere dell’Arcivescovo di Milano possono giustificare il sospetto, che la sua condotta presto somministrasse un ragionevole fondamento, o almeno uno specioso pretesto ai ministri Arriani, che spiavano l’occasion di sorprenderlo in qualche atto di disubbidienza ad una legge, ch’ei stranamente rappresenta come una legge di sangue e di tirannide. Si emanò una sentenza di mite ed onorevol esilio, che ordinava ad Ambrogio di partir subito da Milano, mentre gli permetteva di scegliere il luogo di sua dimora ed il numero de’ propri compagni. Ma l’autorità dei Santi, che hanno predicato ed eseguito le massime di una

  1. Il solo Sozomeno (l. VII. c. 13), involge questo luminoso fatto in una oscura e dubbiosa narrazione.