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dell'impero romano cap. xxvii. | 311 |
zione di liberare i suoi personali nemici dalle mani della moltitudine irata.
Ma nel tempo che si affaticava a raffrenare gli effetti del loro zelo, la patetica veemenza de’ suoi discorsi continuamente infiammava l’ardente e sediziosa indole del popolo di Milano. Venivano indecentemente applicati alla madre dell’Imperatore i caratteri d’Eva, della moglie di Giob, di Gezabel, di Erodiade; e la brama che aveva essa d’ottenere una Chiesa per gli Arriani, era paragonata alle più crudeli persecuzioni, che avessero sofferto i Cristiani sotto il regno del Paganesimo. I provvedimenti che prendea la Corte non servivano che a far conoscere la grandezza del male. Fu imposta una tassa di dugento libbre d’oro sul corpo dei mercanti e degli artefici: fu intimato a nome dell’Imperatore un ordine a tutti gli Uffiziali ed inferiori ministri de’ tribunali di giustizia, che finattantocchè duravano i pubblici disordini, dovessero star chiusi nelle loro case: ed i ministri di Valentiniano imprudentemente confessarono, che la più rispettabile parte de’ cittadini Milanesi favoriva la causa del proprio Arcivescovo. Egli fu di nuovo sollecitato a restituire la quiete del paese, mediante un’opportuna compiacenza alla volontà del Sovrano. La risposta d’Ambrogio fu concepita nei termini più umili e rispettosi, che potevano però interpretarsi come una seria dichiarazione di guerra civile. Espose „che la propria vita ed i suoi beni erano in mano dell’Imperatore, ma ch’esso non avrebbe mai tradito la Chiesa di Cristo, o avvilito la dignità del carattere Episcopale. In una causa di tal sorta era preparato a soffrire qualunque danno la malizia del demonio avesse potuto apportargli; e solo desiderava di mo-