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dell'impero romano cap. xxvii. 299

in cui, dopo la morte di Melezio, esercitò l’uffizio di presidente, in una parola, Gregorio Nazianzeno medesimo. L’aspro ed indecente trattamento, ch’ei ne ebbe1, lungi dal derogare alla verità della sua testimonianza, somministra una prova di più dello spirito che animava le deliberazioni del Sinodo. I concordi voti di questo avevan confermato i diritti che il Vescovo di Costantinopoli traeva dall’elezione del popolo e dal consenso dell’Imperatore. Ma Gregorio divenne tosto la vittima della malizia e dell’invidia. I Vescovi Orientali, suoi valorosi aderenti, provocati dalla moderazione di lui nell’affare di Antiochia, lo abbandonarono senza difesa alla contraria fazione degli Egiziani, che posero in dubbio la validità della sua elezione, e rigorosamente sostennero l’antiquato canone che proibiva la licenziosa pratica delle traslazioni Episcopali. L’orgoglio o l’umiltà di Gregorio gli fece evitare una contesa, che avrebbe potuto imputarsi ad ambizione ed avarizia; ed egli pubblicamente propose, non senza qualche dose di sdegno, di rinunziare al governo d’una Chiesa, che era risorta e quasi creata per le sue fatiche. Fu accettata la rinunzia dal Sinodo e dall’Imperatore, più facilmente di quello che sembra ch’ei si aspettasse. Nel tempo in cui aveva egli forse sperato di godere i frutti della vittoria, fu occupata la sua sede Episcopale dal Senatore Net-

  1. Vedi Gregorio Tom. II. de vita sua p. 28-3l. 1e orazioni 17. 28. 32. furono pronunziate nelle varie scene di quest’azione. La perorazione dell’ultima (Tom. I. p. 528) in cui dà un solenne addio agli uomini ed agli Angeli, alla Città ed all’Imperatore, all’Oriente ed all’Occidente ec., è patetica e quasi sublime.