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dell'impero romano cap. xxvii. | 297 |
essersi conservata per tradizione, o per inspirazione comunicata, la lor perizia intorno alla verità della religione; ma la sobria testimonianza dell’istoria non accorderà gran peso alla personale autorità dei Padri di Costantinopoli. In un tempo, in cui gli Ecclesiastici avevano scandalosamente degenerato dall’esempio dell’Apostolica purità, i più indegni e corrotti erano sempre i più ardenti a frequentare ed a turbare le Episcopali adunanze. Il contrasto e la fermentazione di tanti fra loro contrari interessi e temperamenti infiammavano le passioni dei Vescovi: e quelle che in essi dominavano erano l’amor dell’oro e l’amor della disputa. Molti di que’ Prelati, che allora facevano plauso all’ortodossa pietà di Teodosio, avevan più volte cangiato con prudente flessibilità i loro simboli e le loro opinioni; e nelle diverse rivoluzioni della Chiesa e dello Stato, la religione del Sovrano era la regola dell’ossequiosa lor fede. Allorchè l’Imperatore sospendeva la sua preponderante influenza, il turbolento Sinodo veniva ciecamente spinto dagli assurdi e superbi motivi di orgoglio, d’odio e di sdegno. La morte di Melezio, che accadde nel tempo del Concilio di Costantinopoli, presentava la più favorevole occasione di terminare lo scisma d’Antiochia, lasciando finire pacificamente all’avanzato rivale di lui, Paolino, i suoi giorni nella cattedra Episcopale. La fede e le virtù di Paolino erano irreprensibili: ma la sua causa era sostenuta dalle Chiese occidentali: ed i Vescovi del Sinodo risolvettero di perpetuare il male della discordia, mediante la precipitosa ordinazione d’un
sopra di esso, e la lor dubbiezza rende perplesso, e fa quasi vacillare l’umile Tillemont Mem. Eccl. Tom. IX. p. 499.-500.