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dell'impero romano cap. xxvii. 273

influenza, parve, ch’egli agisse con fermezza, a proposito, e con giudizio nelle più importanti occasioni della sua vita e del suo regno. Ma la forza di questa elaborata istruzione non penetrò al di là della superficie; ed i periti maestri, che con tanta cura guidavano i passi del loro allievo reale, non poterono inspirar nel debole ed indolente carattere di lui quel vigoroso ed indipendente principio d’azione, che rende la ricerca laboriosa della gloria essenzialmente necessaria alla felicità, e quasi all’esistenza dell’Eroe. Appena il tempo ed il caso ebbero allontanati quei fedeli consiglieri dal trono, l’Imperator d’Occidente insensibilmente discese al livello del naturale suo genio, abbandonò le redini del governo a quelle ambiziose mani, che erano già stese per prenderle, e passò il suo tempo nelle più frivole occupazioni. Gl’indegni delegati del suo potere, del merito dei quali era un sacrilegio il dubitare1, instituirono un pubblico mercimonio di favore e d’ingiustizia sì nella Corte che nelle Province. Si dirigeva la coscienza del credulo Principe da’ Santi e dai Vescovi2, i quali procura-

    Egli espresse la sua gratitudine con un servile ed insipido tratto d’adulazione (Actio gratiarum p. 699-736), che è sopravvissuto ad altre produzioni più degne.

  1. Disputare de principali judicio non opportet: sacrilegii enim instar est dubitare, an is dignus sit, quem elegerit Imperator: Cod. Justin. l. IX. Tit. XXIX. leg. 3. Questa legge sì ragionevole fu confermata e pubblicata dopo la morte di Graziano dalla debole Corte di Milano.
  2. Ambrogio compose per istruzione di lui un trattato teologico sulla fede della Trinità: e Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 158. 169) attribuisce all’Arcivescovo il merito delle intolleranti leggi di Graziano.