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dell'impero romano cap. xxv. 23

trimonio, che possedeva nella provincia della Cappadocia. Furono interrotte queste utili ed innocenti occupazioni dall’arrivo di un uffiziale, che a nome dei nuovi Sovrani Valentiniano e Valente fu spedito con una truppa di soldati per condurre l’infelice Procopio o ad una prigione perpetua o ad una ignominiosa morte. La sua presenza di spirito gli procurò una maggior dilazione, ed un fato più splendido. Senza mostrare di porre in dubbio il mandato reale, chiese la grazia di pochi momenti per abbracciare la sua dolente famiglia; e mentre una lauta mensa tratteneva la vigilanza delle sue guardie, esso destramente si rifuggì nelle coste marittime dell’Eussino, dalle quali passò nella regione del Bosforo. In quel remoto paese dimorò molti mesi esposto ai travagli dell’esilio, della solitudine e del bisogno; mentre il malinconico temperamento di lui fomentava le sue disgrazie, ed agitata era la sua mente dal giusto timore, che se qualche accidente scoperto avesse il suo nome, i Barbari senza grande scrupolo avrebbero infedelmente violate le leggi dell’ospitalità. In un punto d’impazienza e di disperazione, Procopio s’imbarcò sopra un vascello mercantile che facea vela per Costantinopoli; ed aspirò arditamente al grado di Sovrano, giacchè non gli era permesso di godere con sicurezza quello di suddito. Da principio si nascose nei villaggi della Bitinia, continuamente cangiando d’abitazione e di vesti. Ap-

    re, che Procopio era Pagano; quantunque la sua religione sembra che non apportasse favore nè danno alle sue pretensioni.