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dell'impero romano cap. xxvi. |
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un’impaziente moltitudine dall’intollerabile giogo della disciplina e della discrezione. I Barbari, ch’erano stati tenuti in freno dalla sua autorità, s’abbandonarono ai dettami delle loro passioni; e queste di rado erano coerenti o uniformi. Un’armata di conquistatori si divise in molte disordinate bande di selvaggi ladroni; e la cieca ed irregolare lor furia non fu meno dannosa a loro medesimi che ai nemici. Si vedeva la cattiva loro disposizione nel distrugger che essi facevano qualunque oggetto, che non avevan forza di trasportare, o buon gusto da godere; e spesso consumarono con improvvida rabbia le raccolte o i granai, che poco dopo divennero necessari alla lor sussistenza. Eccitossi uno spirito di discordia fra quelle indipendenti nazioni e tribù, che non s’erano unite che per mezzo dei vincoli d’una libera e volontaria alleanza. Le truppe degli Unni e degli Alani dovevan naturalmente rinfacciare a’ Goti la fuga; e questi non eran disposti ad usar con moderazione i vantaggi della fortuna: non potea più lungamente restar sospesa l’antica gelosia fra gli Ostrogoti ed i Visigoti; ed i superbi Capitani tuttora si rammentavan gl’insulti e le ingiurie che si eran fatte reciprocamente, allorchè la nazione trovavasi al di là del Danubio. Il progresso delle particolari fazioni abbatteva il più general sentimento dell’animosità nazionale; e gli uffiziali di Teodosio avevan ordine di comprare con liberali doni e promesse la ritirata o i servigi del malcontento partito. L’acquisto di Modar, principe del sangue reale degli Amali, diede un ardito e fedel campione alla parte Romana. L’illustre disertore ottenne subito il posto di Generale con un importante comando; sorprese un’armata di suoi nazionali, che erano immersi nel sonno e nel