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dell'impero romano cap. xxvi. 245

un’interessante ed istruttiva pittura de’ costumi umani; ma la tediosa ripetizione di vaghi e declamatori lamenti stancherebbe l’attenzione del più paziente lettore. Si può applicare la stessa censura, quantunque forse non in grado uguale agli scrittori sì profani che ecclesiastici di quegl’infelici tempi, vale a dire che i loro animi erano accesi da una religiosa e volgare animosità, e che s’alterava la vera grandezza e il colore di ogni oggetto dall’esagerazioni della corrotta loro eloquenza. Potè l’ardente Girolamo1 deplorar con ragione le calamità apportate da’ Goti, e da’ Barbari loro alleati nel nativo suo paese della Pannonia e nella vasta estensione delle Province, che sono fra le mura di Costantinopoli e il piè delle alpi Giulie; le rapine, le stragi, gl’incendi, e sopra tutto la profanazion delle Chiese, che si convertirono in stalle, e l’irriverente trattamento delle reliquie de’ Santi Martiri. Ma il Santo si lascia trasportare oltre i confini della natura e dell’istoria, quando asserisce „che non rimase in quelle deserte regioni altro che il cielo e la terra; che distrutte le città ed estirpata la razza umana, il suolo era tutto ingombrato da folte selve e d’inestricabili boschi; e che s’adempiva la universal desolazione, annunziata dal Profeta Sofonia, nella scarsità delle bestie, degli uccelli e fino de’ pesci„. Si esposero tali querele circa ven-

  1. Et vastatis urbibus, hominibusque interfectis, solitudinem et raritatem bestiarum quoque fieri, et volatilium pisciumque: testis Illiricum est, testis Thracia, testis, in quo ortus sum solum (Pannoniae?) ubi praeter caelum et terram et crescentes vepres et condensa sylvarum cuncta perierunt. Tom. VII. p. 250. ad. I. cap. Sophon. e Tom. I. p. 20.