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dell'impero romano cap. xxvi. |
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superbi monumenti delle ossa loro, di quelle dei generali, dei centurioni e de’ valenti soldati meritano una più lunga durata. Il Sovrano medesimo pugnò e cadde nelle prime file dell’esercito. I suoi famigliari gli presentarono i più veloci destrieri della stalla Imperiale, che presto l’avrebbero liberato dalla persecuzion del nemico; essi lo stimolarono in vano a conservare l’importante sua vita pel futuro servigio della Repubblica. Ei fu costante nella protesta d’essere indegno di sopravvivere a tanti de’ più valorosi e fedeli suoi sudditi; ed il Monarca restò nobilmente sepolto sotto un monte di uccisi. Non vi sia dunque chi ardisca d’attribuir la vittoria dei Barbari al timore, alla debolezza o alla imprudenza delle truppe Romane. I Capitani ed i soldati animati furono dal valore dei loro maggiori, de’ quali uguagliavan la disciplina e l’arte militare. La generosa loro emulazione fu sostenuta dall’amore della gloria, che li pose in istato di contendere nel tempo istesso con la fame e con la sete, col ferro e col fuoco, ed a volentieri abbracciare una morte onorata, come un refugio contro la fuga e l’infamia. Lo sdegno degli Dei è stata la sola cagione del buon successo dei nostri nemici„. La verità dell’istoria può disapprovar qualche parte di questo panegirico, che a rigore non si può conciliare col carattere di Valente o con le circostanze della battaglia; è dovuta però la più giusta lode all’eloquenza, e molto più alla generosità del Sofista d’Antiochia1.
- ↑ Libanio de ulc. Jul. nece ap. Fabric. Bibl. Gr. T. VII p. 146-148.