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te richiamato indietro dal suono della battaglia. Fu fatto il precipitoso ed imprudente attacco da Bacurio l’Ibero, che comandava un corpo di arcieri e di targettieri; ed in quella guisa che s’avanzarono temerariamente, ritiraronsi ancora con perdita e con vergogna. Nel momento stesso gli squadroni volanti di Alateo e di Safrace, dei quali ansiosamente s’aspettava l’arrivo dal Generale dei Goti, scenderono come un turbine dalle montagne, attraversarono il piano, ed aggiunsero nuovi terrori al tumultuario, ma irresistibile incontro dell’esercito Barbaro. In poche parole si può descriver l’evento della battaglia d’Adrianopoli, sì fatale a Valente ed all’Impero. La cavalleria Romana si diede alla fuga; l’infanteria restò abbandonata, circondata e tagliata a pezzi. Le più abili evoluzioni, il più fermo coraggio appena son sufficienti a distrigare un corpo d’infanteria, circondato in un piano aperto da un maggior numero di cavalli; ma le truppe di Valente, oppresse dal peso dei nemici e dei propri lor timori, si trovavano strette in un piccolo spazio, dov’era per loro impossibile d’estender le file, o anche di servirsi con effetto delle spade e dei giavellotti. In mezzo al tumulto, alla strage ed al disordine, l’Imperatore, abbandonato dalle sue guardie e ferito, come si suppone, da un dardo, cercò rifugio fra i Lancearj ed i Mattiarj, che tuttavia mantenevano il loro posto con qualche apparenza d’ordine e di fermezza. I fedeli Generali, Traiano e Vittore, che videro il suo pericolo, altamente gridarono che era tutto perduto, se non si poteva salvar la persona dell’Imperatore. Alcune truppe, animate dalle loro esortazioni, s’avanzarono in soccorso di lui; ma non trovarono che un sanguinoso tratto di terra, co-