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dell'impero romano cap. xxvi. | 215 |
loro dovere al vil desiderio d’empire le loro stalle di bestiame e le case di schiavi. Fu permesso ai Goti d’entrar nelle barche con le armi in mano; e quando la lor forza fu riunita all’altra parte del fiume, l’immenso esercito, che si sparse nei piani e nei colli della bassa Mesia prese un ostile e minaccevole aspetto. Poco dopo comparvero, sulle rive Settentrionali del Danubio, Alateo e Safrace, tutori del fanciullo loro Sovrano, e condottieri degli Ostrogoti; ed immediatamente spedirono ambasciatori alla Corte di Antiochia per sollecitare con le medesime proteste di alleanza e di gratitudine l’istesso favore, che era stato concesso ai supplichevoli Visigoti. L’assoluta negativa di Valente sospese il loro progresso, manifestò il pentimento, i sospetti ed i timori del consiglio Imperiale.
Una indisciplinata e vagante nazione di Barbari esigeva le più ferme disposizioni ed il maneggio più destro. Non potea supplirsi al quotidiano mantenimento di quasi un milione di sudditi straordinari, senza una costante ed abile diligenza, e questa poteva continuamente venire interrotta dal caso o dagli sbagli. L’insolenza o lo sdegno dei Goti, se accorgevansi di essere soggetti di timore o di disprezzo, poteva spingerli agli estremi più disperati, e sembra, che il destino dello Stato dipendesse dalla prudenza ed integrità de’ Generali di Valente. In quest’importante crisi tenevano il governo militare della Tracia Lupicino e
coli di ricchezza e di lusso Gotico. Conviene però supporre, che fossero manifatture delle province, che i Barbari avevano acquistate come spoglie di guerre, o come doni o prezzo di pace.