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dell'impero romano cap. xxvi. 197

sul campo. Ciò nonostante, questa segnalata vittoria, che fu preceduta e seguitata da molti sanguinosi combattimenti, assai meno contribuì alla distruzione della potenza degli Unni, che l’efficace politica, usata per distaccare dalla loro ubbidienza le tributarie nazioni. Intimorite dalle armi, o allettate dalle promesse di Vouti e dei suoi successori, le più considerabili tribù, sì Orientali che Occidentali, scossero il giogo del Tangiù. Mentre alcune di esse si professarono alleate o suddite dell’Impero, divennero tutte implacabili nemiche degli Unni; ed il numero di quell’altiero popolo, ridotto che fu alle naturali sue forze, si potea forse contenere nelle mura di una delle grandi e popolate città della China1. La diserzione dei propri sudditi, e l’incertezza d’una guerra civile finalmente costrinsero il Tangiù stesso a rinunziare alla dignità d’indipendente Sovrano ed alla libertà regolare di una guerriera e coraggiosa nazione. Fu egli ricevuto a Sigan, capitale della Monarchia, dalle truppe, dai Mandarini e dall’Imperatore medesimo con tutti gli onori, che adornar potevano, e mascherare il trionfo della vanità Chinese2. Fu preparato un palazzo magnifico per riceverlo; gli fu assegnato il posto

  1. Si usa tale espressione nel memoriale all’Imperator Vouti: Duhalde Tom. IV. p. 417. Senza adottare l’esagerazioni di Marco Polo e d’Isacco Vossio, noi possiamo ragionevolmente accordare a Pekino due milioni d’abitatori. Le città Meridionali, che contengono le manifatture della China, sono anche più popolate.
  2. Vedi il Kang-Mou Tom. III. p. 150 ed i fatti successivi, sotto i respettivi lor anni. Questa memorabile festa è celebrata nell’elogio di Moukden, e spiegata in una nota dal P. Gaubil p. 89, 90.