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te1 provoca gli Eretici alla fede della Chiesa universale, in cui omne os credentium Christum Deum loquitur. Il parlare come se uno avesse parte a un disordine, da cui si vogliano ritrar coloro, coi quali si forma una società, è forse il più efficace linguaggio per l’intento, che sappia dettar l’umiltà e la prudenza. Vedendo pertanto lo zelantissimo Vescovo, che nel Conciliabolo Costantinopolitano sotto gli occhi dell’Augusto Sovrano si erano soscritti gli Arriani decreti fatti in Rimini2 dopo la partenza dei Legati, e non ancor disperando del ravvedimento dei dissidenti e del Principe, intende realmente in quella Rappresentanza di rimproverar questo e quelli perchè convochino tanti Sinodi, e con tante formule vadano in traccia della fede, come se non vi fosse3; ma lo fa in termini, i quali denotando che ciò avvenisse per comun colpa di tutti i Cristiani, non irritassero i veri colpevoli ed il prepotente lor fautore. In fatti confrontate il passo trascritto da Gibbon, ed inserito nel suo Repertorio da Locke con quel che scrisse San Illario probabilmente4 pochi mesi dopo, e giustificate a chi egli imputasse la colpa di sì scandaloso disordine, dicendo all’Imperatore quando ei si fu tratta la maschera: Synodo contrahis, et Occidentalium fidem ad impietatem compellis.... Orientalis autem dissensione artifex nutris5. Namque post primam vere

  1. 1: §. 30.
  2. Nat. Alex. H. E. Saec. IV. §. 25.
  3. Ad Const. A. Lib. 2. §. 6.
  4. Vedi la Dissert. premessa dagli Edit. Bened. al Lib. Contr. Const. Aug.
  5. L. 2. Constant. A. §. 7. Sono ancora notabili quelle espressioni presso Fozio sulla morte di Costanzo, dicendo: