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riani. Ma che volete aspettarvi di coerente da un Autore, il quale ad onta degli originali ed autentici monumenti, onde confessa esser giustificate le apologie e le lettere ai Monaci di Atanasio ha la stravaganza di dichiararsi di prestarvi minor fede: perchè egli troppo vi apparisce, innocente e troppo assurdi gli avversari di lui? Intanto con questo suo modo di pensare e di scrivere ci fa toccar con mano, come non vi ha assurdo delirio, di cui non sia capace un uomo preoccupato dallo spirito di religioso partito, o di una tolleranza sfrenata. Osservatelo più distintamente in Giuliano l’Apostata.

Già v’immaginerete, che egli debba esser l’Eroe del Sig. Gibbon, ed in sostanza è così. Erano inimitabili, dice egli, le virtù di Giuliano, ed il suo trono era la sede della ragione, della virtù, e forse della vanità, vanità, che il medesimo nostro Critico non si risovvenendo del forse chiama eccessiva. Io non istarò a discutere quale alleanza possa darsi tra la vera virtù e la vanità: Teologia sarebbe questa troppo sublime per uno che applaude ai Protestanti della Fran-

    Gioviano, che unitamente al merito di Confessore nel precedente regno gli nega quello di aver esatto dall’esercito che lo proclamò Imperatore la professione del Cristianesimo, benchè ne sian testimoni Socrate, Sozomeno e Teodoreto (l. 1V. c. 1. ex Vales.) sol perchè Ammiano dice (l. 1XV. c. 6) hostiis pro Joviano, extisque inspectis pronunciatum est etc. Alle osservazioni del Baronio (ad Ann. 363. §. 118) sul testo citato, aggiungo col Tillemont, che forse alcuni pochi ostinati Pagani compiron quel rito superstizioso senza saputa dell’Imperatore, e che Ammiano avea una cognizione molto oscura e superficiale della Storia Ecclesiastica, E Gibbon istesso che parla in tal modo; perchè in quell’occasione l’ignoranza di Ammiano torna in discredito dei Cattolici.