Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/83


dell'impero romano cap xlvii. 77


[A. D. 514 519 565] Abbiamo già mostrato Giustiniano come principe, conquistatore, e legislatore: ci rimane di delinearne il ritratto come teologo1; e ciò che anticipatamente ne dà un’idea sfavorevole, il suo ardore per le materie teologiche, forma uno de’ tratti più marcati del suo carattere. Al pari de’ suoi sudditi, nutriva in cuore una gran venerazione pe’ Santi viventi, e morti. Il suo Codice, e particolarmente le sue Novelle, confermano ed estendono i privilegi del clero, ed ogni volta che nasceva un dibattimento tra un monaco o un laico, propendeva a decidere che dal lato della Chiesa stava mai sempre la giustizia, la verità, l’innocenza. Nelle sue divozioni pubbliche e private assiduo ed esemplare, uguagliava nelle orazioni, nelle vigilie, ne’ digiuni le austerità monastiche: ne’ sogni della sua fantasia credeva o sperava d’essere inspirato: si tenea sicuro della protezione della Santa Vergine, e di San Michele Arcangelo, e attribuì all’aiuto de’ SS. Martiri Cosimo e Damiano la sua guarigione da una malattia pericolosa. Empiè di monumenti della sua religione la capitale e le province2; e quantunque al suo gusto per le arti, ed alla sua ostentazione riferire si possa la maggior parte di

    terminare come aveva intenzione il sesto secolo della Chiesa e dell’Impero.

  1. Le accuse degli aneddotti di Procopio (c. 11, 13, 18, 27, 28), colle dotte annotazioni d’Alemanno son confermate, anzi che contraddette dagli Atti dei Concilii, dal quarto libro d’Evagrio, e dalle lagnanze dell’Africano Facondo in un duodecimo libro de tribus capitalis; cum videri doctus appetit importune .... spontaneis quaestionibus ecclesiam turbat. (Vedi Procopio de Bell. Goth. l. III, c. 35).
  2. Procopio, De Aedific. l. I, c. 6, 7, etc., passim.