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292 storia della decadenza

Vaticano, la voce di Gregorio II1, ritirò le schiere, abbandonò i conquisti, si condusse alla Chiesa di S. Pietro, e, dopo avere orato, depose sulla tomba dell’Apostolo la spada e il pugnale, la corazza e il mantello, la croce d’argento e la corona d’oro; ma tale fervor religioso fu un’illusione e forse un artificio del momento; il sentimento dell’interesse è possente e durevole. Era l’amore delle armi e della rapina inerente al carattere dei Lombardi, e i disordini dell’Italia, la debolezza di Roma, e la profession pacifica del suo nuovo Capo, furono per essi e pel loro Re un oggetto di tentazione irresistibile. Alla pubblicazione dei primi editti del monarca si dichiararono difensori delle Immagini. Invase Luitprando la provincia di Romagna, chiamata così fin da quei tempi; i cattolici dell’Esarcato si sottomisero senza ripugnanza al suo potere civile e militare, e per la prima volta venne introdotto un nimico straniero nell’inespugnabile Fortezza di Ravenna. Furono la città e la fortezza ricuperate bentosto dall’attività dei Veneziani valenti e poderosi in mare, e questi fedeli sudditi s’arresero alle esortazioni di Gregorio, che li indusse a separare il fallo personale di Leone dalla causa generale dell’Impero romano2. Dimenticarono i Greci

  1. Sigonio (De regno Ital. l. III, opera, t. II, p. 173) mette in bocca a Gregorio un discorso al Re dei Lombardi, in cui v’ha l’audacia e il coraggio di quelli di Salustio e di Tito Livio.
  2. Due storici veneziani, Giovanni Sagorino (Chron. Venet. p. 13) e il doge Andrea Dandolo (Script. rer. Ital., t. XII, p. 135) conservarono quest’Epistola di Gregorio. Paolo Diacono (De gest. Langobard., l. VI, c. 49-54, in script. Ital. t. I, part. I, p. 506-508) fa menzione della perdita e della