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290 | storia della decadenza |
Romani li gettò necessariamente in un governo repubblicano grossolanamente concepito. Furono obbligati a scegliere Giudici in tempo di pace, e Capi durante la guerra; si adunavano i Nobili per deliberare, e non poteansi eseguire le loro risoluzioni, senza il consenso della moltitudine. Si videro rinnovarsi le forme antiche del Senato e del Popolo romano1; ma non erano animate dall’istesso spirito, e quella nuova independenza fu disonorata dalla tempestosa lotta della licenza e dell’oppressione. La mancanza di leggi non poteva essere supplita che dal potere della religione, e l’autorità del Vescovo dirigeva l’amministrazione interna, e la politica esterna. Le sue limosine, i suoi discorsi, la sua corrispondenza coi re e prelati dell’Occidente, i servigi, che non guari prima avea renduto alla città, i giuramenti statigli prestati, e la gratitudine che gli si dovea, assuefarono i Romani a risguardarlo come il primo magistrato, o il principe di Roma. Il nome di dominus o di Signore non isgomentò l’umiltà cristiana dei Papi, e se ne scorge la figura e l’iscrizione sulle più antiche monete2. Il loro dominio temporale
- ↑ Pipino, Regi Francorum, omni senatus, atque universa populi generalitas a Deo servatae romanae urbis. (Codex Carolin. epist. 36, in script. Ital., t. III, part. II, p. 160). I nomi di senatus e di senator non furono mai al tutto annichilati (Dissert. chorograph., p. 216, 217). Ma nell’età media essi non significarono nient’altro che nobiles, optimates, ec. (Ducange, Gloss. latin.)
- ↑ Vedi Muratori, Antiq. Ital. medii aevi, t. II. Dis-
in legat. script. Ital., t. II, p. 481). Minosse avrebbe potuto imporre a Catone o a Cicerone, in penitenza dei loro peccati, l’obbligo di leggere ogni giorno questo passaggio d’un Barbaro.