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dell’impero romano cap. xlix 289

sovranità degl’Imperatori greci, Roma spopolata più non era che il tristo scheletro della miseria; era la schiavitù divenuta per lei un’abitudine, e la sua libertà fu un accidente prodotto dalla1 superstizione, ch’essa medesima non potè mirare che con sorpresa e terrore. Non trovavasi nelle instituzioni o nella memoria dei Romani il menomo vestigio della sostanza, od anche delle forme della costituzione; nè aveano abbastanza lumi e virtù a rifabbricare l’edificio d’una Repubblica. Il debole avanzo degli abitanti di Roma, nati tutti da schiavi o da stranieri, era l’oggetto dello scherno dei Barbari trionfanti. Per esprimere il maggior disprezzo che aveano per un nimico, lo chiamavano i Franchi e Lombardi Romano; „e questo nome, dice il Vescovo Luitprando, abbraccia tutto ciò che è vile, infame e perfido; i due estremi dell’avarizia e del lusso, e tutti i vizi infine che possono prostituire la dignità della natura umana„2. La situazione dei

    République romaine, opera del Signor di Beaufort, (t. I.) le particolarità concernenti all’estensione, alla popolazione etc. del Regno romano: non si accuserà quest’autore di troppa credenza pei primi secoli di Roma.

  1. Non è superstizione, come dice sempre l’Autore, il culto delle Immagini bene inteso, e prestato secondo il sentimento della Chiesa. È poi vero che le controversie, le sollevazioni per cotal contrattato culto, produssero un nuovo governo in Roma, e diedero occasione alla sovranità dei Papi. (N. di N. N.)
  2. Quos (Romanos) non Langobardi scilicet, Saxones, Franci, Lotharingi, Bajoarii, Suevii, Burgundiones, tanto dedignamur ut inimicos nostros commoti, nihil aliud contumeliarum nisi Romani, dicamus: hoc solo, id est Romanorum nomine, quicquid ignobilitatis, quicquid timiditatis, quicquid avaritiae, quicquid luxuriae, quicquid mendacii, immo quicquid vitiorum est comprehendentes. (Luitprando,