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dell’impero romano cap. xlix 287

mente l’Imperatore1; con tutto ciò sembra che la risoluzione presa di fargli per l’ultima volta un’ammonizione, senza speranza di buon esito, provi che l’anatema non era allora che sospeso sopra il suo reo capo. Sembra di più, che i Papi, dopo avere ben fondato le basi della propria sicurezza, del culto delle Immagini, e della libertà di Roma e dell’Italia, abbiano mitigato il rigore, e risparmiato il rimanente del dominio Bizantino. Differirono con moderati consigli ed impedirono l’elezione d’un nuovo Imperatore; esortarono gl’Italiani a non separarsi dal corpo della Monarchia romana. Si concedette all’Esarca di risedere nelle mura di Ravenna, dove fece la parte piuttosto di schiavo che di padrone; e fino all’incoronazione di Carlomagno, il governo di Roma e dell’Italia fu sempre tenuto in nome dei successori di Costantino2.

  1. È chiaro, che i termini del decreto comprendeano Leone si quis .... imaginum sacrarum .... destructor .... extiterit, sit extorris a corpore D. N. Jesu-Christi, vel totius Ecclesiae unitate. Tocca ai Canonisti a decidere se basti il delitto per avere la scomunica, o se bisogna essere nominato nel decreto. E questa decisione interessa estremamente la sicurezza degli scomunicati, poichè l’oracolo (Gratien, Caus., 23, (q. 5, c. 47, apud Spanheim, Hist. immag. p. 112) dice: homicidas non esse qui excommunicatos trucidant.
  2. Compescuit tale consilium pontifex, sperans conversionem principis (Anastasio, p. 156). Sed ne desisterent ab amore et fide R. J. admonebat. (p. 157) Danno i Papi a Leone e a Costantino Copronimo i titoli d’imperatores e di domini, accompagnati dallo strano epiteto di piissimi. Un celebre mosaico del palazzo di Laterano (A. D. 798) rappresenta Gesù Cristo che consegna le chiavi di San Pietro e lo stendardo a Costantino V. (Muratori, Annali d’Italia, t. VI; p. 337.)