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dell’impero romano cap. xlix 275

di nuocere. Oltre l’abito e lo stato monastico si proscrisse col medesimo rigore anche il culto pubblico e privato delle Immagini; e parrebbe che si esigesse dai sudditi, od almeno dal clero dell’Impero d’Oriente, una solenne abiurazione dell’idolatria1.

Rinunziò con ripugnanza il sottomesso Oriente alle sue sacre Immagini; lo zelo independente degli Italiani le difese con vigore, e raddoppiò la divozione per esse. Era il Patriarca di Costantinopoli pel grado e per l’ampiezza della sua giurisdizione quasi uguale al Pontefice di Roma; ma il Prelato greco era uno schiavo sotto gli occhi del padrone che ad un cenno, ora da un convento il facea passare sul trono, ora dal trono nel fondo d’un convento. Il Vescovo di Roma, lontano dalla Corte, e sempre in pericolo, in mezzo ai Barbari dell’Occidente, traeva dalla sua condizione, coraggio e libertà; scelto dal popolo, gli era caro; bastavano le sue rendite ragguardevoli ai bisogni pubblici e a quelli dei poveri. La debolezza o la negligenza degli Imperatori lo determinò a consultare, in pace e in guerra, la sicurezza temporale della città. Nella scuola dell’avversità, s’andava egli a poco a poco arricchendo delle virtù di un principe, e ne sentia l’ambizione: l’Italiano, il Greco o il Siro, che arrivava alla Cattedra di S. Pietro, tutti

  1. Προγραμμα γαρ εξεπεμψε κατα πασαν εξαρχιαν την υπο της χειρος αυτος; παντας υπογραψαι και ομνυναι του αθετησαι την προσκουησιν των σεπτων εικονων. Imperocchè mandò un avviso per tutto l’Esarcato che da lui dipendeva di dover tutti sottoscrivere e giurare che abiuravano l’adorazione delle occidentali Immagini. (Damascen., Op., t. I, p. 625.) Non mi ricordo d’aver letto questo giuramento nè questa sottoscrizione in niuna raccolta moderna.