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un’impronta degna della nostra venerazione; oggi, colui che siede al di sopra dei Cherubini viene a noi in un simulacro, che fece il nostro Padre onnipossente colle sue mani immacolate, che formò in guisa ineffabile, e che noi dobbiamo santificare, adorandolo con timore ed amore.„ Prima della fine del sesto secolo, erano quelle Immagini fatte senza mani (usavano i Greci una sola parola1) comuni negli eserciti e nelle città dell’Impero d’Oriente2. Erano esse oggetto di culto, ed istrumenti di miracoli. Nell’ora del pericolo, o in mezzo al tumulto, la loro veneranda presenza rendea la speranza, ravvivava il coraggio, o reprimea il furore delle legioni romane. Non essendo la maggior parte di quelle Immagini che imitazioni fatte dalla mano dell’uomo, non poteano aspirare che ad un’imperfetta rassomi-

  1. Αχειροποιητος, senza mani. Vedi Ducange, in Gloss. graec. et latin. Questo soggetto è trattato con erudizione non meno che con pregiudizii dal Gesuita Gretser (Syntagma de imaginibus non manu factis, ad calcem codicis de officiis, p. 289-330), l’asino o piuttosto la volpe d’Ingolstadt (Vedi la Scaligeriana); con pari senno e ragione dal protestante Beausobre nella controversia ironica da lui inserita in differenti volumi della Bibliothèque germanique (t. XVIII, pag. 1-50; t. XX, p. 27-68; t. XXV, p. 1-36; t. XXVII, pag. 85-118; t. XXVIII, pag. 1-33; t. XXXI, p. 111-148; l. XXXII, p. 75-107; t. XXXIV, p. 67-96).
  2. Teofilato Simocatta (l. II, c. 3, p. 34; l. III, cap. I, p. 63), celebra θεανδρικον εικασμα, l’immagine dell’Uomo Dio, ch’egli chiama αχειροποιητον, senza mano; ma non era che una copia, poichè soggiugne αρχετυπον οι Ρωμαιοι (d’Edessa) θρεσκευουσι τι αρρητον, che i Romani (di Edessa) venerano quell’originale con un culto singolare. (Vedi Pagi, t. II, A. D. 596, n. II).