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del popolo ai favori benefici, e spesse volte miracolosi, che si spargeano intorno alla lor tomba, era fortificata da quella folla di devoti pellegrini, che andavano a vedere, toccare e baciare la spoglia inanime, che ricordava il loro merito e i loro patimenti1; ma una copia fedele della persona e delle fattezze del Santo, fatta col soccorso della pittura o scultura, era una memoria più grata che non il suo cranio o i suoi sandali. Furono tali copie, così analoghe alle affezioni umane, carissime in ogni età alla privata tenerezza o alla pubblica stima. Si prodigalizzavano onori civili e quasi religiosi alle immagini degl’Imperatori romani; riceveano le statue dei sapienti e dei patriotti omaggi meno fastosi, ma più sinceri; e queste profane virtù, questi bei peccati scomparivano alla presenza dei santi personaggi, che avean data la vita per la celeste ed eterna lor patria. Fecesi da principio l’esperimento del culto delle Immagini con precauzione e scrupolo; erano permesse per istruire gl’ignoranti, per infervorare gli animi, e per conformarsi ai pregiudizi dei pagani che aveano abbracciato, o che desideravano d’abbracciare il cristianesimo. Per una progressione insensibile, ma inevitabile, gli onori conceduti all’originale, si rendettero alla copia: pregava il devoto d’innanzi all’immagine d’un Santo; e s’introdussero nella Chiesa cattolica i riti pagani della genuflessione, dei cerei accesi e dell’incenso. Tacquero gli scrupoli della ragione e della pietà davanti al possente testimonio delle visioni e dei miracoli. Si pensò, che Immagini le quali parlavano, si moveano e spargevano sangue,

  1. Vedi i capitoli XXIII e XXVIII di quest’opera.