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dell'impero romano cap xlviii. | 235 |
gli comparve in valore il primo dopo il sovrano, divenne occasione d’un libero ed intiero perdono.
Non così tosto fu ritornato Andronico in patria, gli rinacque in petto la focosa sua ambizione per suo gran danno, e per quello del popolo. Una figlia di Manuele era debole ostacolo alle mire dei principi della casa Comnena, i quali si sentiano più degni del trono; dovea quella sposarsi al Re d’Ungheria, e questo matrimonio offendeva le speranze e i pregiudizi dei principi e dei nobili; ma quando si chiese loro il giuramento di fedeltà per l’erede presuntivo, il solo Andronico sostenne l’onore del nome romano; ricusò di prestare questo giuramento illegittimo, e protestò altamente contro l’adozione d’uno straniero. Il suo patriottismo offese l’Imperatore, ma era d’accordo coi sentimenti del popolo, e il monarca, allontanandolo soltanto da sè con un esilio onorevole, gli diede per la seconda volta il comando della frontiera della Cilicia, colla libertà di disporre delle rendite dell’isola di Cipro. Qui esercitarono gli Armeni ancora il suo coraggio, ed ebbero occasione di avvedersi della sua negligenza. Gittò di sella, e ferì pericolosamente un ribelle, che gli sconcertava ogni opera; ma scorse ben tosto una conquista più facile e più piacevole da farsi, la bella Filippa, sorella dell’Imperatrice Maria, e figlia di Raimondo di Poitou, Principe latino, che regnava in Antiochia. Abbandonando per essa il posto che dovea custodire, passò la state in balli e in tornei: gli sacrificò Filippa l’innocenza, la stima e un matrimonio vantaggioso. Furono i piaceri d’Andronico interrotti dalla collera di Manuele, irritato da quest’affronto domestico; lasciò Andronico l’imprudente principessa in preda al pianto