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204 | storia della decadenza |
d’un principe detestato dal popolo, ed egli collo splendore delle sue virtù fece sparire la memoria del suo delitto. Forse la sua prodigalità fu meno utile allo Stato dell’avarizia di Niceforo; ma la dolcezza e la generosità del suo animo incantarono tutti quelli che lo corteggiavano, ed egli non calcò le pedate del suo predecessore fuorchè nel sentiero della vittoria. Passò nei campi la più gran parte della sua vita monarchica; segnalò il suo valor personale, e la sua attività sul Danubio e sul Tigri, confini un tempo dell’Impero romano, e trionfando dei Russi e dei Saracini, si meritò il titolo di salvator dell’Impero, e di domator dell’Oriente. Quando tornò dalla Siria per l’ultima volta osservò che gli eunuchi erano possessori delle terre più fertili delle sue nuove province, e con virtuoso sdegno esclamò. „Abbiam dunque dato battaglie, e fatto conquisti per giovare a costoro? Per costoro adunque versiamo il sangue, e spendiamo i tesori del popolo?„ Questi rimbrotti sonarono sino in fondo al palazzo, e la morte di Zimiscè diede forti indizi di veleno.
[A. D. 976] Durante quest’usurpazione, o se vuolsi reggenza di dodici anni, i due Imperatori legittimi, Basilio e Costantino, erano arrivati senza fama all’età virile. Per la giovinezza loro non s’era potuto lasciare ad essi l’autorità; s’erano contenuti verso il tutore con quella rispettosa modestia dovuta alla sua età, e al suo merito, e questi, che non avea figli, non pensò a privarli della corona: amministrò fedelmente e saggiamente il lor patrimonio, e però la morte prematura di Zimiscè fu pei figli di Romano una perdita più che un vantaggio. Per difetto d’esperienza dovettero vegetare ancora nella oscurità altri dodici