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202 | storia della decadenza |
primavera osteggiava contro i Saracini in persona, e poteano agevolmente i Romani calcolare le somme, che provenienti dalle contribuzioni erano state spese per trionfi, per conquisti, e per la sicurezza della frontiera dell’Oriente.
[A. D. 969] Fra i guerrieri che lo avevano condotto a regnare, e che servivano sotto le sue bandiere, Giovanni Zimiscè, prode Armeno e di nobile famiglia, era quello che avea meritate ed ottenute le ricompense più segnalate. Era di statura men che mediocre, ma in così picciolo corpo, ove stavano accoppiate forza e bellezza, s’annidava l’anima d’un eroe. Il fratello dell’Imperatore portando invidia alla sua fortuna, lo fece cadere dal grado di General dell’Oriente in quello di direttor delle poste; e perchè quegli osò dolersene, fu punito colla disgrazia e coll’esilio. Ma Zimiscè era annoverato fra i moltissimi amanti dell’Imperatrice, e per opera di lei ottenne di dimorare in Calcedonia nei contorni della Capitale: s’ingegnò nelle sue visite amorose e clandestine di compensarla di questa prova della sua bontà, e quindi Teofane consentì lietamente alla morte d’un marito avaro e schifoso. Furono nascosti nelle stanze più secrete del palazzo arditi e fedeli congiurati, e nelle tenebre d’una notte d’inverno, Zimiscè e i Capi della trama s’imbarcarono in una scialuppa, attraversarono il Bosforo, approdarono nei dintorni del palazzo, e salirono cheti cheti per una scala di corda, gettata dalle donne dell’Imperatrice. Nè la diffidenza di Niceforo, nè gli avvisi datigli degli amici, nè il tardo soccorso di suo fratello Leone, nè quella specie di Fortezza, ch’egli avea formata nel suo palazzo, valsero a difenderlo contro un nemico domestico,