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dell'impero romano cap xlviii. |
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ribelle che gli era sfuggito lungo tempo di mano, chiese la grazia a Dio di conficcare tre dardi nel capo di Crisochiro; così nomavasi il suo nemico. Quel capo abbominato, ch’egli aveva ottenuto per tradimento più che pel suo coraggio, fu impeso ad un albero, ed esposto tre volte alla destrezza dell’arciere imperiale; vile vendetta, più degna del secolo che dell’indole di Basilio; ma la sua abilità principale si fece palese nell’amministrare le pubbliche rendite, e le leggi. A riempire l’erario esausto gli fu proposto di rivedere le donazioni malfatte del suo predecessore; fu egli abbastanza saggio per ripigliarne la sola metà, e così si procacciò una somma d’un milione e dugentomila lire sterline, con che provvide ai bisogni più urgenti, e guadagnò tempo per eseguire le riforme economiche. Tra i diversi divisamenti, diretti ad accrescere la sua entrata, se gli propose una nuova maniera di tributo, che avrebbe messo i contribuenti sotto il soverchio arbitrio degli esattori. Gli presentò subito il ministro una lista di agenti onesti, e capaci per quell’impiego. Avendoli da sè stesso esaminati, Basilio non ne trovò che due degni d’esercitare sì pericoloso ufficio, e questi giustificarono la stima ch’egli n’ebbe, ricusando questo contrassegno di fiducia. Ma le assidue premure dell’Imperatore rimisero a poco a poco l’equilibrio tra le proprietà e le contribuzioni; tra l’entrata e l’uscita fu assegnata una somma particolare per ogni ramo di spesa, e con un metodo pubblico furono assestati gl’interessi del principe, e quelli de’ proprietari. Dopo avere riformato il lusso della propria tavola, volle che due demanii patrimoniali provvedessero a questa qualità di spese; le imposizioni pagate dai sudditi servivano