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dell'impero romano cap xlviii. | 183 |
le grazie di Icasia fissarono i suoi sguardi, e questo principe, poco destro ad introdurre un discorso, non trovò altro da dirle se non che le Donne avean fatto gran male: „è vero, Sire, rispose la giovanetta vivacemente, ma han fatto anche molto bene„. Questa affettazione di spirito fuor di tempo spiacque all’Imperatore; che le voltò le spalle. Icasia andò a nascondere la sua vergogna in un convento, e Teodora, ch’era stata modestamente zitta ebbe il pomo d’oro. Fu degna dell’amore del suo padrone; ma non potè sottrarsi alla sua severità. Dal giardino del palazzo, avendo veduto un vascello assai carico ch’entrava in porto, e informato, ch’era pieno di merci della Siria, appartenenti a sua moglie, condannò alle fiamme la nave, e fece amaro rimbrotto a Teodora perchè avviliva la dignità d’Imperatrice, facendo la mercantessa: tuttavolta in punto di morte le affidò la tutela dell’Impero, non che del figlio Michele, che aveva allora cinque anni. Il nome di Teodora divenne caro ai Greci pel ristabilimento delle Immagini, e per la totale espulsione degli Iconoclasti; ma nel suo fervor religioso ella non trascurò le premure volute dalla gratitudine per la memoria e la salvezza di suo marito. Dopo tredici anni d’un’amministrazione saggia e temperata, s’avvide che la reputazione di lei declinava; ma questa seconda Irene imitò solamente le virtù della prima. Invece di tentar nulla contro la vita e l’autorità del figlio, si consacrò senza resistere, ma non senza dolersi, alla solitudine della vita privata, compiangendo i vizi, l’ingratitudine e la ruina inevitabile dell’indegno suo figlio.
[A. D. 842] Fra quelli, che successori di Nerone e d’Elaga-