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dell'impero romano cap xlviii. 177

Lo zelo di Michele ebbe in premio ricchezze, onori e comandi militari, e l’Imperatore seppe impiegare a beneficio del Pubblico i suoi talenti adatti soltanto ad un posto secondario; ma non fu contento il Frigio a ricevere come un favore una scarsa porzione di quell’Impero, che egli avea procacciato ad un uguale, e finalmente il suo malumore, dopo averlo esalato per qualche tempo in parole imprudenti, fu da lui manifestato in una guisa più minacciosa contro un principe ch’egli dipingeva come un tiranno crudele. Tuttavia questo tiranno scoperse, in più volte, i disegni dell’antico suo collega; lo ammonì, e gli perdonò sin a tanto che in fine il timore ed il risentimento la vinsero a fronte della gratitudine. Dopo un lungo esame delle azioni e delle intenzioni di Michele, fu questo convinto del reato di lesa maestà, e condannato ad essere arso vivo nella fornace dei bagni privati. La pia umanità dell’Imperatrice Teofane divenne funesta al marito suo ed alla sua famiglia; era fissata l’esecuzione al venticinque dicembre; ella rappresentò, che un sì inumano spettacolo mal conveniva nell’anniversario della nascita di Cristo, e Leone, sebbene con ripugnanza, concedette una sospensione che pareva ragionevole; ma nella vigilia di Natale, da un’interna inquietudine fu condotto l’Imperatore a visitare, nel silenzio della notte, la stanza ove era detenuto Michele, e lo trovò, che sciolto dalle catene, dormiva profondamente sul letto del suo custode: quest’indizio di sicurezza e d’un accordo cogli uomini, che erano mallevadori della persona del carcerato, sbigottì non poco Leone: egli si ritirò senza fare strepito, ma uno schiavo nascosto in un canto della prigione, lo vide entrare