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dell'impero romano cap xlviii. |
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come padre del popolo; ma le sue virtù pacifiche si addiceano piuttosto alla oscurità della vita privata, ed egli non seppe mai reprimere l’ambizione degli uguali a lui, nè resistere alle armi dei Bulgari vittoriosi. Mentre per difetto di talenti e di trionfi era egli esposto alle beffe dei soldati, il maschio coraggio di sua moglie Procopia si concitò la loro indignazione. Anche i Greci del nono secolo si adontarono dell’insolenza d’una donna, che stando davanti agli stendardi, volea dirigerne le mosse, e animarli a combattere; le loro grida tumultuose avvertirono la nuova Semiramide di rispettar la maestà d’un Campo romano. Dopo una campagna infelice l’Imperatore lasciò svernare in Tracia un esercito malcontento, e comandato dai suoi nemici, i quali con artificiosa eloquenza persuasero ai soldati esser tempo di togliersi dal governo degli eunuchi, di degradare il marito di Procopia, e di rinnovare il diritto della elezion militare. Marciarono adunque verso la capitale; in questo mezzo, il Clero, il Senato, il Popolo di Costantinopoli stavano per Michele, e le milizie e i tesori dell’Asia potevano aiutarlo a prolungar le calamità d’una guerra civile; ma Michele per un sentimento d’umanità, che gli ambiziosi chiameranno debolezza, protestò, che non lascerebbe spargere per la sua causa una sola goccia di sangue cristiano, e i suoi deputati offersero alle soldatesche, giunte di Tracia, le chiavi della città e del palazzo. Esse furono disarmate dalla sua innocenza e sommessione; nulla si osò contro la sua vita; non gli furono cavati gli occhi; Michele entrò in un monastero, dove, dopo essere stato spogliato della porpora, e separato dalla