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174 | storia della decadenza |
nell’isola di Lesbo, non ebbe per sussistere che i guadagni della sua conocchia.
[A. D. 802-811] Non v’ha dubbio, che vi furono tiranni più rei di Niceforo; ma niuno per avventura fu odiato più generalmente dal suo popolo. Tre vizi vergognosi, l’ipocrisia, l’ingratitudine e l’avarizia, lo deturparono; non supplivano i talenti al difetto di virtù, e gli mancavano qualità piacevoli, che coprissero il difetto di talenti. Inetto e sfortunato in guerra, fu vinto dai Saraceni, e ucciso dai Bulgari, e la sua morte si ebbe in conto di fortuna, la quale, nell’opinion pubblica, contrappesò la perdita d’un esercito romano. Stauracio, suo figlio ed erede, scampò dalla battaglia con una ferita mortale; ma sei mesi d’una vita, che fu un’agonia continua, bastarono a smentire la promessa aggradevole al popolo, ma indecente per sè medesima, da lui fatta, dicendo, che avrebbe in tutto evitato l’esempio del padre. Quando si conobbe che gli restavan pochi giorni da vivere, tutti i voti e in Corte e in città s’accordarono in favore di Michele, gran maestro del palazzo, e marito di Procopia, sorella del principe. Non mancò a Michele che il suffragio del suo invidioso cognato. Il quale pertinacemente fermo a ritenere uno scettro, che gli cadeva di mano, cospirò contro la vita del successore designato, e si lasciò sedurre dall’idea di fare dell’Impero romano una democrazia; ma questi inconsiderati disegni non valsero che ad attizzare il popolo, e a dissipare gli scrupoli di Michele. Il quale accettò la porpora, e il figlio di Niceforo, col piè sul sepolcro, implorò clemenza dal nuovo sovrano. Se in un tempo di pace fosse asceso Michele ad un trono ereditario, avrebbe potuto essere amato e poi pianto