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dell'impero romano cap xlviii. 173

sfatti non ha forse l’uguale. La oscurità di diciassette giorni, durante la quale molti vascelli smarrirono la strada nel pieno meriggio, fu considerata dalla superstizione per un effetto del suo delitto, come se il Sole, quel globo di fuoco, sì remoto e sì ampio, avesse ne’ suoi movimenti qualche simpatia cogli atomi d’un pianeta, che gira intorno a lui. L’atrocità d’Irene rimase per cinque anni impunita; luminoso era il suo regno; e se la sua coscienza tacea, poteva essa ignorare, o non curare l’opinione degli uomini. Il Mondo romano si sottomise al governo d’una donna, e quando ella passava per le strade di Costantinopoli, quattro patrizi a piedi, tenean le redini di quattro cavalli bianchi, attaccati al cocchio d’oro, su cui era portata la Regina; ma quei patrizi comunemente erano eunuchi; e la lor negra ingratitudine giustificò, in quest’occasione, l’odio e il disprezzo che si avea per essi. Tratti dalla polvere, arricchiti, ed elevati alle prime dignità dello Stato cospirarono da vili contro la propria benefattrice: il gran tesoriere per nome Niceforo fu segretamente ornato della porpora; il successore d’Irene fu collocato nel palazzo, e coronato in S. Sofia da un Patriarca, che avevano subornato con doni. Nel primo abboccamento col nuovo imperatore, Irene ricapitolò dignitosamente i vari accidenti che aveano agitata la sua vita; rimproverò dolcemente a Niceforo la sua perfidia; lasciò trapelare, ch’egli dovea la vita alla sua clemenza poco sospettosa; poi in compenso del trono e dei tesori, ch’ella abbandonava, domandò un ritiro decoroso. Niceforo gli negò questo discreto compenso, e l’Imperatrice, confinata