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dell'impero romano cap xlviii. |
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mi attengo alla perniciosa massima di credere, che chi è incolpato di molte cose sia necessariamente colpevole di qualcheduna; posso però travedere chiaramente, che Costantino V fosse dissoluto e crudele. È proprietà della calunnia l’esagerare piuttosto, che l’inventare, e il suo linguaggio temerario è in parte frenato dalla notorietà fondata nel secolo e nel paese, da cui trae testimonianza. È indicato il numero de’ Vescovi, de’ Monaci e de’ Generali dalla sua atrocità sagrificati. Erano illustri i lor nomi, pubblica ne fu l’esecuzione, e la mutilazione fu visibile e permanente. Detestavano i cattolici la persona e il governo di Copronimo; ma la loro stessa avversione è un indizio dell’oppressione che soffrivano. Tacciono le colpe cogli insulti che poterono per avventura scusarne o giustificarne il rigore; ma per questi insulti dovette a poco a poco moversi a collera, e indurarsi all’uso ed all’abuso del despotismo; tuttavolta non era Costantino V spoglio di meriti, nè il suo governo fu sempre degno dell’esecrazione o del disprezzo de’ Greci. Confessano i suoi nemici, che restaurò un vecchio acquedotto, che riscattò duemila e cinquecento prigionieri, che godettero i popoli sotto il suo regno una insolita abbondanza, che con nuove colonie ripopolò Costantinopoli e le città della Tracia; e a malincuore son costretti a lodarne l’attività ed il coraggio. In battaglia era sempre a cavallo alla fronte delle sue legioni, e quantunque non sieno state sempre fortunate le sue armi, trionfò per terra e per mare, su l’Eufrate e sul Danubio, nella guerra civile come nella barbarica; conviene inoltre, per fare contrappeso alle invettive degli ortodossi, mettere ancora nella bilancia le lodi dategli dagli