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dell'impero romano cap xlviii. | 165 |
uni Ebrei, che davano la buona ventura, i quali gli promisero l’Impero romano, purchè abolisse il culto degl’idoli1 Stando ad una versione più probabile, suo padre abbandonò l’Asia Minore per domiciliarsi nella Tracia, ove esercitò l’utile mestiere di mercante di bestiami, nel quale avea certamente fatto gran guadagno se è vero, che, colla somministrazione di cinquecento agnelli, ottenesse che il figlio entrasse al servigio dell’Imperatore. A prima giunta fu collocato Leone nelle guardie di Giustiniano, e non andò guari, che si attirò gli sguardi, poscia i sospetti del tiranno. Si segnalò in valore e in destrezza nella guerra della Colchide. Anastasio gli conferì il comando delle legioni dell’Anatolia, e quando i soldati gli posero in dosso la porpora, fece plauso l’Impero romano a quella elezione. Leone III portato a quella dignità pericolosa, vi si tenne fermo a dispetto dell’invidia de’ suoi uguali, del malumore di una fazion terribile, e degli assalti dei nemici domestici e forestieri. Anche i cattolici, benchè esclamino contro le sue novità in materia di religione, son costretti a convenire, che le incominciò con moderazione, e le condusse a termine con fermezza, e nel loro silenzio hanno rispettata la savia sua amministrazione, e i suoi puri costumi. Dopo un regno di ventiquattr’anni se ne morì tranquillo nel suo palazzo di Costantinopoli, e i suoi discendenti redarono sino alla terza generazione quella porpora, che egli s’era acquistata.
[A. D. 741] Il regno di Costantino quinto per soprannome Copronimo, figlio e successor di Leone, durò trenta
- ↑ L’Autore (V. p. 165) disegnando coll’espressione dicitori di buona ventura gli Ebrei, che si erano fatti cristiani e seguivano l’Evangelo (giacchè questo greco vocabolo altro non significa che buon’annuncio), vuol mostrare che questi cristiani volevano l’abolizione dell’introdottosi culto delle Immagini; giacchè nelle province dell’Impero romano d’Oriente non v’era più a quell’epoca, cioè nell’ottavo secolo il culto degli Idoli del Politeismo che i cristiani avevano detestato; ma egli dà a gran torto il nome di Idoli alle Immagini cui prestavano e prestano culto i cattolici; v’è qui non picciolo errore, e perciò ci crediamo in dovere di dar la vera idea, e notizia del culto delle Immagini, e dell’Iconoclastia, intendendo, che questa nota serva d’istruzione storica positiva a’ lettori per tutti quei luoghi dove l’Autore scrive di questa materia. Premettiamo, che veramente (Petavius Theolog. Dogmatum de Incarnatione lib. 15, e Pagi Critica T. I, p. 42) le Immagini non appartengono alla sostanza della religione; la Chiesa poteva ammetterle, e non ammetterle. Nei primi tempi del cristianesimo, per le persecuzioni, e perchè agli occhi ed alle menti de’ Cristiani era presente il culto degli Idoli dal qual dovevano star lontani, non furono in uso Immagini, e templi, di che anzi erano rimproverati da Gentili, siccome quelli che non avevano nè luoghi di culto, nè segni di lor religione; e ce lo dice Minucio Felice scrittore del terzo secolo: cur nullas aras habent, templa nulla, nulla nota simulacra? a ciò i cristiani rispondevano: pensate voi che noi occultiamo ciò che veneriamo, per non aver nè templi nè altari? a che far simulacri a Dio, mentre l’uom stesso n’è l’immagine? a che fabbricar templi a Dio mentre il Mondo tutto non può contenerlo? non è meglio far che sia suo tempio il nostro animo? Il Concilio Illiberitano nel principio del quinto secolo proibì l’uso delle Immagini col canone 37. Placuit picturas in ecclesia esse non debere, ne quod colitur, et adoratur in parietibus depingatur. Alcuni credono doversi riferire cotal proibizione alle Immagini soltanto della Divinità, e della Trinità; il decreto è veramente generale. Poscia a poco a poco si fabbricarono chiese, e nel quinto e sesto secolo, divenuto dominante il cristianesimo, s’introdusse il culto delle Immagini; ma non in tutti i luoghi, e non nel medesimo tempo si andò introducendo perchè, per una parte non v’era più pericolo d’idolatria, e che fos- sero le Immagini, dagli uomini rozzi, considerate per la loro rassomiglianza come Idoli del politeismo, e per l’altra esse servirono a propagare la memoria di Cristo, di Maria, e de’ Santi, e ad animare coll’esempio i Fedeli. Si estese molto cotal culto nelle Chiese Orientali, ed Occidentali, ma molti fra i Vescovi, preti e secolari, non n’erano persuasi, attenendosi all’antica massima, e consuetudine. Le cose erano in questo stato quando l’Imperatore Leone Isaurico l’anno 726 (imitando il suo predecessore Filippico, cui aveva resistito il Papa Costantino che lo aveva nel suo Concilio di Roma dichiarato apostata) si mosse con rigorosi editti, e con maggior forza contro il culto delle Immagini; ei lo considerava a torto come un’idolatria, e credeva purificare la religione. Mandò i suoi uffiziali, e soldati nelle Chiese di Costantinopoli, e della Grecia, e indi anche in Italia a toglier via le Immagini. Il Papa Gregorio II scrisse all’Imperatore spiegandogli il senso del culto delle Immagini, e giustificandolo: Et dicis nos parietes et lapides, et tabellas adorare: non ita est ut dicis Imperator; sed ut memoria nostra excitetur et ut stolida, imperita, crassaque mens nostra erigatur, et in altum provehatur per eos, quorum haec nomina et quorum appellationes, et quorum eae sunt imagines, et non tanquam Deos, ut tu dicis, absit. Gregorii II Epist. in Collect. magna Conc. Labbe. Gregorio disse dunque a Leone che non intendeva che i credenti venerassero o adorassero quelle Immagini per se stesse, ma come degne di culto a cagione delle cose rappresentate, onde la debole mente umana sia per mezzo di cotali rappresentazioni aiutata ad innalzarsi all’intuizioni degli archetipi, che non cadevano più sotto i sensi. Nella stessa lettera poi gli racconta le sollevazioni ch’egli si era procacciate col togliere la Immagini al culto del popolo. Leone convocò un Concilio di Vescovi da dirsi Conciliabolo, che decretò contro il culto delle Immagini, e depose S. Germano Patriarca, che n’era sostenitore, e pose in suo luogo Anastasio. Gregorio III sostenne pure con zelo il culto delle Immagini: ovunque vi furono sollevazioni, incendi, e massacri per la formazione di due par- titi, opposti e ferocissimi. Costantino Copronimo figlio di Leone Isaurico fu più fiero del padre; convocò un altro Concilio da dirsi pure Conciliabolo, l’anno 754, ove fu condannato il culto delle Immagini. L’Imperatrice Irene vedova di Leone IV nella minorità del figlio Costantino, di consenso del Papa Adriano I, convocò il Concilio generale VII, di Nicea II l’anno 787; (Divalis sacra directa a Costantino et Irene augustis ad Sanctissimum Hadrianum Papam senioris Rome etc. Labbe T. 8. p. 645); in esso fu spiegato, e ristabilito il culto delle Immagini, e molti Vescovi iconoclasti, vale a dire avversi al culto delle Immagini, e che lo avevano condannato negli anzidetti Concilii, si ritrattarono, furono ammessi alla loro sedi, e fu condannato tutto ciò ch’era stato decretato, e fatto nei due anteriori Concilii. Ma tuttavia il partito Iconoclasta continuò a mantenersi forte specialmente in Germania, in Francia, in Inghilterra; i Vescovi per altro di queste province sembravano tener il mezzo fra questi due partiti. Carlomagno che inclinava all’Iconoclastia fece comporre quattro libri contro il culto della Immagini, e li mandò al Papa Adriano, che vi rispose vigorosamente sostenendo il Concilio generale di Nicea II; ad onta di ciò Carlomagno convocò un Concilio nazionale di trecento Vescovi a Francfort l’anno 794, il quale sosteneva la dottrina dei quattro libri, e condannò il culto delle Immagini. Finalmente il greco prete Teofane ci narra gli Atti del Concilio di Costantinopoli nell’anno 842: Postquam defuncto Teophilo Imperium ad ejus uxorem Thedoram, et filium eorum Michaelem, admodum adolescentem, deletum esset, in pietatis studium curamque maxime incubuit foemina veri Dei munere (ut nomen eius indica) data etc. (Labbe Sac. Conc. Magna Collect.) Adunò Teodora nel suo palazzo un numeroso Concilio di Vescovi, di Monaci e di Grandi; vi fu approvato il Concilio generale VII, di Nicea II, già convocato da Irene, che aveva ristabilito il culto delle Immagini; fu cacciato dalla sede Giovanni Patriarca di Costantinopoli Iconoclasta, ed eletto Metodio stato sostenitore delle Immagini: e di Giovanni sbalordito, segue a dirci Teofane, qua quidem celeri et imperata rerum mutatione Joannes, qui tunc impie munus Pontificium administrabat, stupore, ac mentis caligine captus parum abfuit quin ipse sibi manus inferret, mortemque conscisceret. Così fu definitivamente ristabilito il culto delle immagini dopo 120 anni di tumulti, di ribellioni, e di massacri. L’autorità del Concilio Generale VII, di Nicea II, è superiore di gran lunga e per ragione, e per regola della Chiesa a quella degli altri Concilii, o Conciliaboli contrarii, e tanto più lo è perchè giudicò conformemente ai Papi Costantino, Gregorio II, Gregorio III, Adriano I, ed a tutti gli altri Papi contemporanei, e perchè fu per giunta confermata dal Concilio di Costantinopoli dell’anno 842: quindi ogni buon cattolico deve seguir la massima di doversi prestar culto alle Immagini, determinata per tal modo definitivamente dalla Chiesa nei secoli VIII, IX. (Nota di N. N.)