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dell'impero romano cap xlviii. 155

condannato ad una mutilazione ignominiosa: ma sopravvisse a questa crudele operazione, ed elevato poscia alla dignità di Patriarca e di Santo, ha conservata la memoria dell’indecente atrocità dell’Imperatore. Dopo avere offerti all’ombra del padre sagrifici così sanguinosi, ritornò Costantino alla sua capitale, ed essendogli spuntata la barba nel suo viaggio di Sicilia, questa circostanza fu divulgata all’Universo col soprannome datogli di Pogonate. Il suo regno, come quello del suo predecessore, fu deturpato dalla discordia fraterna. Aveva egli conferito il titolo d’Augusto ad Eraclio e a Tiberio, suoi fratelli; ma non era per essi che un vano titolo, avvegnacchè continuavano a languire nella solitudine del palazzo senza poteri e senza occupazioni. Segretamente istigate da loro le soldatesche del Tema o sia della provincia d’Anatolia, s’appressarono dalla parte dell’Asia a Costantinopoli; chiedendo a favor dei due fratelli di Costantino la divisione o l’esercizio della sovranità, e sostenendo con un argomento teologico questa sediziosa domanda. Gridavano i soldati, essere Cristiani, e Cattolici, e sinceri adoratori della santa ed individua Trinità; e però se regnavano tre persone uguali nel Cielo, era ben ragionevole, che tre persone uguali fossero sulla Terra. L’Imperatore invitò quei bravi dottori ad un’amichevole conferenza, in cui proporre potevano al Senato le loro ragioni: quelli vi andarono; e ben presto lo spettacolo de’ loro corpi impesi alle forche nel sobborgo di Galata bastò a riconciliare i lor compagni coll’unità del Regno di Costantino. Il quale perdonò ai fratelli, e lasciò che fossero, come prima, onorati nelle pubbliche acclamazioni; ma divenuti