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toni ignoranti, che non hanno altra consolazione che la vista della miseria anche maggiore del Patriarca greco, e del suo picciolo ovile1.

VI. Il Patriarca cofto, ribelle ai Cesari, o schiavo dei Califfi, poteva sempre insuperbirsi dell’ubbidienza figliale dei Re della Nubia e dell’Etiopia; ne esagerava egli la grandezza per pagarne l’omaggio; osavano i suoi partigiani asserire che quei principi poteano mettere in armi centomila cavalieri, e altrettanti camelli2; ch’eran padroni di spandere, o di fermare le acque del Nilo3, e che dalla mediazione

  1. Le cose relative all’istoria, alla religione, ai costumi ec. dei Cofti, si raccolgono dall’opera bizzarra dell’abate Renaudot, che non è nè traduzione, nè originale, dalla Chronicon orientale di Pietro il Giacobita dalle due versioni d’Abramo Ecchellense, Parigi 1651, e da Gian Simone Assemani, Venezia 1729. Questi annali non giungono che al decimoterzo secolo. Convien cercare notizie più recenti negli autori che hanno scritto i loro viaggi in Egitto, e nelle nuove Memorie delle missioni del Levante. Nel secolo passato (1600) Giuseppe Abudneno, nato al Cairo, pubblicò in Oxford una breve Historia Jacobitarum, in trenta pagine.
  2. Verso l’anno 737. Vedi Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 221, 222; Elmacin Hist. Saracen. p. 99.
  3. Ludolfo Hist. Aetiop. et Comment., l. I, c. 8; Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 480 etc. Quest’opinione introdotta in Egitto e in Europa dall’artifizio dei Cofti, dall’orgoglio degli Abissinii, dal timore, e dall’ignoranza dei Turchi e degli Arabi, non ha la menoma sembianza di verità. Sicuramente le piogge dell’Etiopia non consultano la volontà del monarca per ingrossar le acque del Nilo. Se il fiume s’accosta a Napata, distante tre giornate dal Mar Rosso (vedi le carte di D’Danville) la bocca d’un canale, capace a svolgerne il corso, esigerebbe tutta la potenza dei Cesari, e forse questa non sarebbe bastevole.