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dell'impero romano cap. xx | 65 |
vilegio del Santuario a’ Tempj Cristiani, e dalla generosa pietà di Teodosio il Giovane esteso a’ recinti de’ luoghi sacri1. Era permesso a’ supplichevoli fuggitivi, ed anche rei, d’implorar la giustizia o la misericordia della Divinità e de’ suoi Ministri. Veniva sospesa la dura violenza del dispotismo dalla dolce interposizione della Chiesa; e si potevano proteggere le vite ed i beni de’ sudditi più cospicui dalla mediazione del Vescovo.
V. Il Vescovo era il perpetuo censore de’ costumi del suo popolo. La disciplina della penitenza era disposta in un sistema di giurisprudenza canonica2, che definiva esattamente il dovere della confessione pubblica o privata, le regole delle prove, i gradi delle colpe, e la misura delle pene. Era impossibile eseguire questa censura spirituale, se il Pontefice Cristiano, che puniva le oscure colpe della moltitudine, avesse
- ↑ Vedi Cod. Teodos. (lib. IX. Tit. XLV. leg. 4). Nelle Opere di Fra Paolo (Tom. IV. p. 192 ec.) si trova un discorso eccellente sopra l’origine, i diritti, gli abusi ed i limiti de’ Santuarj. Egli osserva giustamente che l’antica Grecia potea forse contenere quindici o venti asili: numero, che presentemente si può trovare nell’Italia dentro le mura d’una sola città.
* Gli asili sono ora aboliti in tutta l'Italia, perfino negli Stati Ecclesiastici. - ↑ La giurisprudenza penitenziale veniva continuamente accresciuta da’ Canoni de’ Concilj. Ma poichè molti casi eran sempre lasciati alla discrezione de’ Vescovi, essi pubblicavano secondo le occorrenze, ad esempio del Pretore Romano, le regole di disciplina, che si proponevano d’osservare. Le più famose, fra l’Epistole canoniche del quarto secolo, son quelle di Basilio Magno. Sono esse inserite nelle pandette di Beveregio (T. II. p. 47-151) e sono state tradotte da Chardon (Hist. des Sacrem. Tom. IV. p. 219-277).