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dell'impero romano cap. xx 61

i poveri1, ma insensibilmente s’accrebbe la lor ricchezza insieme con la dignità e coll’opulenza delle città ch’essi governavano. Un autentico ma imperfetto2 catalogo di rendite specifica varie case, botteghe, giardini e fondi, che appartenevano alle tre Romane Basiliche di S. Pietro, di S. Paolo e di S. Gio. Laterano nelle Province dell’Italia, dell’Affrica e dell’Oriente. Questi producevano, oltre la riserva d’una quantità d’olio, di lino, di carta, d’aromati ec., un’annuale entrata di ventiduemila aurei, o dodicimila lire sterline. Al tempo di Costantino e di Giustiniano, i Vescovi non godevan più l’intera fiducia del Clero e del Popolo, e forse non la meritavano. I beni Ecclesiastici di ciascheduna Diocesi furon divisi in quattro parti, che dovevan servire per uso respettivamente del Vescovo stesso, del suo clero inferiore, de’ poveri e del Culto pubblico; e fu più volte rigorosamente represso l’abuso di questa sacra amministrazione3.

  1. Vedi Giustiniano Nov. 123. 3. Non è determinata la rendita de’ Patriarchi e de’ Vescovi più ricchi; il frutto però annuo maggiore d’un Vescovato si fissa a trenta libbre di oro, ed il minimo a due; il medio dunque potrebbe essere di sedici, ma questi calcoli sono molto al di sotto del reale valore.
  2. Vedi il Baronio, Annal. Eccles, an. 324. n. 58, 65, 70, 71. Ogni memoria, che viene dal Vaticano, è giustamente sospetta: pure questi cataloghi hanno l’apparenza di antichi e di autentici; ed è almeno evidente che se son finti, si formarono in un tempo, in cui gli oggetti dell’avarizia Papale erano i fondi, non i regni.
  3. Vedi Tomassino. Disc. Eccles. Tom. III. l. II. c. 13, 14, 15 p. 689-706. Non pare che la legittima divisione de’ beni Ecclesiastici fosse anche stabilita nel tempo d’Ambrogio e di Crisostomo. Simplicio però e Gelasio, che furon Vescovi di