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dell'impero romano cap. xx |
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portune occasioni di persuadere e di applicar con destrezza quegli argomenti, ch’erano più acconci al carattere e all’intendimento di esso. Vantaggi d’ogni sorta potevano trarsi dall’acquisto d’un proselito Imperiale, e lo splendor della porpora, piuttosto che la superiorità nel sapere o nella virtù, lo distingueva dalle molte migliaia di sudditi, che avevano abbracciato le dottrine del Cristianesimo. Nè si dee stimare incredibile che la mente d’un ignorante soldato avesse potuto cedere al peso dell’evidenza, che in un secolo più illuminato ha soddisfatto o sottomesso la ragione d’un Grozio, d’un Pascal, o d’un Locke. Questo soldato, fra i continui travagli del suo grand’uffizio, impiegava o affettava d’impiegar le ore della notte a diligentemente studiare la Scrittura, ed a comporre discorsi teologici, che dipoi recitava ad una copiosa udienza, la quale facevagli applauso. In un discorso assai lungo, che tuttavia sussiste, si diffonde il reale Predicatore sulle diverse prove della Religione: ma si ferma con particolar compiacenza su’ versi Sibillini1 e sull’Egloga quarta di Virgilio2. Quaranta anni prima della nascita di Cristo, il vate Mantovano, quasi inspirato dalla celeste musa d’Isaia, aveva celebrato con tutta la pompa della metafora Orientale
- ↑ Vedi Const. Orat. ad Sanctos c. 10, 20. Egli specialmente si fonda sopra un misterioso acrostico, composto nel sesto secolo dopo il diluvio, dalla Sibilla Eritrea e da Cicerone tradotto in Latino. Le lettere iniziali de’ trentaquattro versi Greci formano questa profetica sentenza: „Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore del Mondo„.
- ↑ L’Imperatore, nella sua parafrasi di Virgilio, ha spesse volte aiutato e migliorato il senso letterale del testo Latino. Vedi Blondel des Sybilles l. I. c. 14, 15, 16.