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384 | storia della decadenza |
promulgarono la speciosa novella di una prudente e necessaria pace: ma la voce della fama, più alta e più sincera, manifestò il disonor dell’Imperatore e le condizioni dell’ignominioso trattato. Gli animi del popolo si riempirono di stupore e di affanno, di sdegno e di terrore, quando seppero che l’indegno successor di Giuliano abbandonava le cinque Province, che acquistate aveva la vittoria di Galerio; e che vergognosamente rendeva ai Barbari l’importante città di Nisibi, ch’era il più stabile baloardo delle Province Orientali1. Nelle popolari conversazioni agitavasi liberamente la profonda e pericolosa questione, se la fede pubblica si dovesse osservare, quando essa è incompatibile con la pubblica sicurezza; ed avevasi qualche speranza, che l’Imperatore avrebbe rimediato alla pusillanime sua condotta con uno splendido atto di patriottica perfidia. Lo spirito inflessibile del Senato Romano aveva in altri tempi disapprovato le ingiuste condizioni estorte dalle angustie delle oppresse sue armate; e se vi fosse stato bisogno di soddisfare all’onore della nazione con dare il Generale colpevole nelle mani de’ Barbari, la maggior parte de’ sudditi di Gioviano avrebbe volentieri acconsentito a seguire l’esempio de’ tempi antichi2.
- ↑ Possono ammettersi Ammiano ed Eutropio come buoni e credibili testimoni de’ discorsi e de’ sentimenti pubblici. Il popolo d’Antiochia inveiva contro un’ignominiosa pace, che l’esponeva sopra una nuda e non difesa frontiera alle armi Persiane.
- ↑ L’Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien p. 211-227)
rammentò, che Platone aveva condannato il suicidio, e ch’ei doveva vivere per comporre il panegirico di Giuliano (Liban. de vita sua Tom. II. p. 45, 46).