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dell'impero romano cap. xxiv. 357

pel passaggio de’ fiumi. Fu conservata la provvisione di venti giorni pe’ soldati; e per assoluto comando dell’imperatore il resto de’ magazzini con una flotta di mille cento vascelli che stavano all’ancora sul Tigri, abbandonossi alle fiamme. I Vescovi Cristiani Gregorio ed Agostino insultano la pazzia dell’apostata, ch’eseguiva con le proprie mani la sentenza della divina giustizia. La loro autorità, che in una questione militare potrebbe reputarsi per avventura di piccolo peso, vien confermata dal freddo giudizio d’un esperto soldato, che fu spettatore di quell’incendio; e che non potè disapprovare il repugnante mormorio delle truppe1. Ciò nonostante non mancano speciose, e forse anche sode ragioni, che potrebbero giustificare la risoluzione di Giuliano. L’Eufrate non era navigabile al di là di Babilonia, nè il Tigri oltre Opis2. La distanza di quest’ultima città dal campo Romano non era molto grande; e Giuliano avrebbe dovuto ben presto rinunziare alla vana ed ineseguibile impresa di condurre a forza una gran flotta contro la corrente d’un rapido fiume3, che in molti luoghi era impedito da

  1. Vedi Ammiano (XXIV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 132. 133, p. 356. 357), Zosimo (l. III. p. 185.), Zonara (Tom. II. l. XIII. p. 26), Gregorio (Orat. IV. p. 116), Agostino (de Civ. Dei. l. IV. c. 29. l. V. c. 21). Fra questi Libanio solo tenta di fare una debole apologia pel suo Eroe, che secondo Ammiano pronunziò la propria condanna, con un tardo ed efficace tentativo d’estinguer le fiamme.
  2. Vedi Erodoto (l. I. c. 194.), Strabone (l. XIV. p. 1074.) e Tavernier (p. I. l. II. p. 152.).
  3. A celeritate Tigris incipit vocari, ita appellant Medi sagittam: Plin. Histor. nat. VI. 31.