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328 | storia della decadenza |
sava la Religione Cristiana; regnava sopra un popolo di Cristiani, ed ogni principio di coscienza e d’interesse lo riteneva dal contribuire alla vittoria, che avrebbe portato seco la rovina della Chiesa. Lo spirito già alienato di Tirano fu inasprito dall’indiscretezza di Giuliano, che trattò il Re d’Armenia come suo schiavo e come il nemico degli Dei. Il superbo e minaccioso stile degl’Imperiali comandi1 eccitò il segreto sdegno d’un Principe, che nell’umiliante stato di dipendenza tuttavia ricordavasi della sua real discendenza dagli Arsacidi, padroni una volta dell’Oriente e rivali della potenza Romana.
Le militari disposizioni di Giuliano furono artificiosamente prese in maniera da ingannare le spie, e divertir l’attenzione di Sapore. Pareva che le Legioni dirizzassero la loro marcia verso Nisibi ed il Tigri. Ad un tratto si voltarono a destra; attraversarono la uguale e nuda pianura di Carre, e giunsero il terzo giorno alle rive dell’Eufrate, dove i Re Macedoni avean fabbricato la forte città di Niceforio o Callinico. Quindi l’Imperatore proseguì la sua marcia per più di novanta miglia lungo il tortuoso corso dell’Eufrate, sinchè circa un mese dopo la sua partenza da Antiochia, scuoprì finalmente le torri di Circesio, ultimo
- ↑ Ammiano (XXIII. 2.) si serve d’un termine troppo mite in quest’occasione, monuerat. Il Muratori (Fabr. Biblioth. Graec. Tom. VII. p. 86) ha pubblicato una lettera scritta da Giuliano al Satrapo Arsace, impetuosa, bassa, e (sebbene abbia potuto ingannare Sozomeno l. VI. c. 5.) molto probabilmente spuria. La Bleterie (Hist. de Jovien Tom. II p. 339) la traduce e la rigetta.
tello τοις βαρβαροις a’ Barbari, espressione più conveniente a un Romano che ad un Cristiano.