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dell'impero romano cap. xxiii 303

generale indulgenza, nel possesso delle respettive lor Chiese; e si dimostrò sorpreso, che un reo, che era stato più volte condannato dal giudizio degl’Imperatori, ardisse d’insultare la maestà delle leggi, ed insolentemente usurpare la sede Archiepiscopale d’Alessandria, senz’aspettar gli ordini del suo Sovrano. In pena dell’immaginario delitto, bandì Atanasio di nuovo dalla città, e si compiacque di supporre, che questo atto di giustizia sarebbe stato sommamente grato ai devoti suoi sudditi. Le vive sollecitazioni del popolo tosto lo convinsero, che la maggior parte degli Alessandrini eran Cristiani, e che la massima parte dei Cristiani era stabilmente attaccata alla causa dell’oppresso loro Primate. Ma la cognizione dei loro sentimenti, invece di persuaderlo a revocare il decreto, lo trasse ad estendere a tutto l’Egitto il termine dell’esilio d’Atanasio. Lo zelo della moltitudine rendè Giuliano sempre più inesorabile; lo mise in agitazione il pericolo di lasciare alla testa d’una tumultuosa città un Capo intraprendente o popolare, ed il linguaggio della sua collera scuopre l’opinione che egli aveva del coraggio e dell’abilità d’Atanasio. Era tuttavia differita l’esecuzione della sentenza per la cautela o negligenza d’Ecdicio, Prefetto dell’Egitto, che finalmente fu svegliato dal suo letargo con una riprensione severa. „Quantunque voi trascuriate (dice Giuliano) di scrivermi sopra qualunque altro soggetto, almeno è vostro dovere d’informarmi della vostra condotta verso Atanasio, nemico degli Dei. Vi è stata da gran tempo comunicata la mia intenzione. Giuro pel gran Serapide, che se alle calende di Decembre Atanasio non è partito da Alessandria, anzi dall’Egitto, i Ministri del vostro governo