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dell'impero romano cap. xxiii |
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va precipitato; e siccome lo zelo dell’Arcivescovo era temperato dalla discrezione, così l’esercizio della sua autorità tendeva non ad accendere, ma a riconciliare le menti del popolo. Le sue pastorali fatiche non si limitavano agli angusti confini dell’Egitto. Era presente all’attivo e capace suo spirito lo stato del Mondo Cristiano; e l’età, il merito, la riputazione d’Atanasio l’abilitarono a prendere in un momento di pericolo il posto d’Ecclesiastico Dittatore1. Non erano ancor passati tre anni, da che la maggior parte dei Vescovi dell’Occidente aveva per ignoranza o contro voglia soscritto la confessione di Rimini. Se ne pentivano essi, credevano, ma temevan l’inopportuno rigore dei loro ortodossi fratelli; e se la vanità fosse stata in essi più forte della fede, potevano anche gettarsi in braccio agli Arriani per evitare l’indegnità d’una pubblica penitenza, che gli avrebbe ridotti allo stato d’oscuri laici. Nel tempo stesso, agitavansi con qualche calore fra i dottori Cattolici le domestiche differenze intorno all’unione e distinzione delle persone Divine; e pareva che il progresso di tal metafisica disputa minacciasse una pubblica e costante divisione delle Chiese, Greca e Latina. Dalla saviezza d’uno scelto Sinodo, a cui la presenza ed il nome d’Atanasio diede l’autorità d’un Concilio Generale, i Vescovi, ch’erano imprudentemente deviati nell’errore, furono ammessi alla comunion della Chiesa con la facile condizione di soscrivere il Simbolo Niceno, senza pren-
- ↑ Vedasi Atanasio ad Rufin. Tom. II. p. 40, 41. e Greg. Nazianz. (Orat. III. p. 395, 396) il quale giustamente stabilisce, che fu il moderato zelo del Primate più meritorio dello sue preghiere, de’ suoi digiuni, delle sue persecuzioni ec.