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dell'impero romano cap. xxiii 295

lor crudeltà non finissero d’esser tormentati che colla morte; che i loro laceri corpi essendo trascinati per le strade (tal era la rabbia universale) si pungessero dagli spiedi de’ cuochi e dalle rocche delle infuriate donne, e che dopo d’essersi gustate da quegli inumani fanatici le viscere di preti e di vergini Cristiane, venisser mescolate con orzo, ed ignominiosamente gettate agl’immondi animali delta città1. Tali scene di religiosa pazzia presentano la più dispregevole ed odiosa pittura della natura umana; ma la strage di Alessandria richiama anche maggiore attenzione per la certezza del fatto, per la qualità delle vittime e per lo splendore della Capitale d’Egitto.

Giorgio2, pe’ suoi genitori o per l’educazione soprannominato il Cappadoce, era nato a Epifania in Cilicia nella bottega d’un purgatore di panni. Da tale oscura e servile origine s’innalzò colle arti di parassito; ed i padroni, ch’esso continuamente adulava, procurarono per l’indegno lor dipendente una lucrosa

  1. Vedi Greg. Naz. Orat. III. p. 87. Sozomeno (l. V. c. 9) può considerarsi come un testimone originale, quantunque non imparziale. Egli era nativo di Gaza, ed aveva conversato col Confessore Zenone, Vescovo di Majuma, che visse fino all’età di cent’anni (l. VII. c. 28). Filostorgio l. VII. c. 14. colle Dissertazioni del Gottofredo p. 284), aggiunge alcune tragiche circostanze di Cristiani, che furono letteralmente sacrificati sugli altari degli Dei ec.
  2. La vita e morte di Giorgio di Cappadocia sono descritte da Ammiano (XXII. 11.), da Gregorio Nazianzeno (Orat. XXI. p. 382. 385. 389. 390.) e da Epifanio (Haeres. 70). Le invettive de’ due Santi non meriterebbero molta fede, se confermate non fossero dalla testimonianza del freddo ed imparziale Pagano.