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dell'impero romano cap. xxiii | 281 |
norma d’un principio fecondo d’oppressioni e di mali, trasferì a’ Pontefici della sua religione il maneggio delle generose prestazioni, che dal pubblico erario avea concesse alla Chiesa la pietà di Costantino e de’ suoi figliuoli. L’orgoglioso sistema degli onori e delle immunità clericali, che s’era stabilito con tant’arte e fatica, fu gettato a terra; si tolsero dal rigor delle leggi le speranze delle testamentarie donazioni; ed i Sacerdoti della Setta Cristiana rimaser confusi colla ultima e più ignominiosa classe del popolo. Fra questi regolamenti, quelli che parvero necessari a frenare l’ambizione e l’avarizia degli Ecclesiastici, furon poco dopo imitati dalla saviezza d’un Principe ortodosso. Le speciali distinzioni, introdotte dalla politica, o dalla superstizione profuse nell’ordine Sacerdotale, debbono ristringersi a que’ Sacerdoti, che professano la religione dello Stato. Ma la volontà del Legislatore non era esente dal pregiudizio e dalla passione; e l’insidiosa politica di Giuliano tendeva a spogliare i Cristiani di tutti gli onori e vantaggi temporali, che li rendevano rispettabili agli occhi del Mondo1.
- ↑ Queste leggi sopra il Clero si posson vedere ne’ leggieri cenni, che ne ha dato Giuliano medesimo (Epist. 52.), nelle vaghe declamazioni di Gregorio (Orat. III. p. 86. 87), e nelle positive asserzioni di Sozomeno l. V. c. 5.
οι και θεοισιν απεχθωντ’ αθανατοισιν. Poichè non mi è permesso d’aver cura o misericordia di uomini, che sono odiosi agli Dei immortali. Questi due versi, che Giuliano ha cangiati e pervertiti nel vero spirito d’un superstizioso (Epist. 49) son presi dal discorso d’Eolo, che ricusa di accordare ad Ulisse un nuovo aiuto di venti (Odyss. X. 73). Libanio (Orat. parent. c. 59. p. 286.) tenta di giustificare questa parziale condotta con un’apologia, in cui si travede la persecuzione attraverso la maschera del candore.