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dell'impero romano cap. xxii 227

titolo di Dominus o di Signore1, voce, ch’era diventata sì famigliare agli orecchi de’ Romani, che non si ricordavano più della servile ed umiliante sua origine. S’amava l’uffizio o piuttosto il nome di Console da un Principe, che contemplava con rispetto le rovine della Repubblica; e l’istesso contegno, che Augusto aveva tenuto per prudenza, fu da Giuliano adottato per scelta e per inclinazione. Nelle calende di Gennaio, allo spuntar del giorno, i nuovi Consoli, Mammertino e Nevitta, s’affrettarono d’andare al palazzo per salutare l’Imperatore. Tosto che fu informato del loro arrivo, scese dal trono, s’avanzò in fretta ad incontrarli, e costrinse i Magistrati, pieni di rossore, a ricevere le dimostrazioni della sua affettata umiltà. Dal palazzo si portarono al Senato. L’Imperatore andò a piedi avanti alle loro lettighe, e la moltitudine, osservandolo, ammirava l’immagine dei tempi antichi, ovvero segretamente biasimava una condotta che a’ lor occhi avviliva la maestà della porpora2. Ma il contegno di Giuliano fu sostenuto con

    siglio quello d’impedirlo che l’Imperatore fu ritenuto da qualche speciale rivelazione.

  1. Juliano in Misopogon p. 343. Siccome non abolì mai con alcuna pubblica legge i superbi nomi di despota, o dominus, questi tuttavia sussistono nelle sue medaglie (Du Cange Fam. p. 38, 39); ed il privato dispiacere, che affettava d’esprimere, non fece che dare uno stile diverso alla servil maniera della Corte. L’Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien. Tom. II p. 99-102) ha curiosamente investigato l’origine, ed il progresso della parola dominus sotto il governo Imperiale.
  2. Ammiano XXII. 7. Il Console Mammertino (in Paneg. vet. XI 28, 29, 30) celebra quel fausto giorno, come un eloquente schiavo, attonito ed inebbriato per la condiscendenza del suo signore.