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fu eseguito in un modo, che parve degradasse la maestà del trono. Giuliano era tormentato dalle importunità d’una moltitudine, in particolare d’Egiziani, che altamente richiedevano i doni, che per imprudenza o illegittimamente avean fatti; egli previde la infinita catena di vessanti liti; e s’obbligò con una promessa, che avrebbe sempre dovuto essere inviolabile, che se fossero essi comparsi a Calcedonia, avrebbe ascoltato in persona, e decise le loro querele. Ma tosto che furono sbarcati, mandò un ordine assoluto che vietava a’ marinari di trasportare a Costantinopoli Egizio veruno; e così ritenne i suoi sconcertati clienti sul lido Asiatico, finchè dopo d’aver esausta tutta la lor pazienza, e il denaro, furon costretti a tornare con isdegnosi lamenti al nativo loro paese1.

Il numeroso esercito di spie, di agenti, e di delatori, ascoltati da Costanzo per assicurare il riposo di un uomo solo, e per turbar quello di milioni d’uomini, fu immediatamente disperso dal generoso di lui successore. Giuliano era lento ne’ sospetti, e mite nelle pene, ed il suo disprezzo de’ tradimenti era un risultato di giudizio, di vanità e di coraggio. Sapendo di avere un preminente merito, egli era persuaso che pochi fra’ suoi sudditi avrebbero ardito d’affrontarlo in campo, d’insidiar la sua vita, o anche di occupare il vacante suo trono. Come filosofo potea scusare le precipitate imprudenze del malcontento; e com’Eroe potea disprezzar gli ambiziosi progetti, che sorpassavano la fortuna o l’abilità di temerari cospiratori. Un

  1. Vedi Ammiano XXII. 6. Valesio Iv. il Cod. Teodosiano lib. II. Tit. XXXIX. leg. 1 e Gottofredo Comment. Iv. Tom. 1. v. 218.