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dell'impero romano cap. xxii | 215 |
antecessori, s’abbandonavano al puerile lor gusto per li giuochi del Circo sotto lo specioso pretesto di compiacere alle inclinazioni del Popolo; e spesso restavano la maggior parte del giorno come oziosi spettatori, e come facienti una parte dello splendido spettacolo, fintantochè non fosse compito l’ordinario giro di ventiquattro corse1. Nelle feste solenni, Giuliano, che sentiva e confessava un insolito disamore per questi frivoli divertimenti, condiscendeva a comparire nel Circo; e dopo aver gettato un non curante sguardo su cinque o sei corse, tosto si ritirava coll’impazienza d’un filosofo, che risguardava come perduto ogni momento, che non fosse consacrato al vantaggio del Pubblico, od al miglioramento del suo spirito2. Mediante quest’avarizia di tempo, sembra che prolungasse la breve durata del suo Regno; e se le date fossero stabilite con minor certezza, ricuseremmo di credere, che non passassero più di sedici mesi fra la morte di Costanzo, e la partenza del suo successore
- ↑ Vedi Salmas. ad Sueton. in Claud. 2l. 1i fu aggiunta una ventesima quinta corsa, o missus, per compire il numero di cento cocchi, quattro de’ quali, distinti da quattro colori, correvano ad ogni corsa.
Centum quadrijugos agitabo ad flumina cursus.
Sembra che corressero cinque o sette volte intorno alla meta. Svet. in Domit. c. 4. E secondo la misura del Circo Massimo a Roma, dell’Ippodromo a Costantinopoli ec. poteva essere un corso di circa quattro miglia.
- ↑ Juliano in Misopogon p. 340. Giulio Cesare aveva offeso il Popolo Romano leggendo le lettere nel tempo della corsa. Augusto secondò il genio di esso ed il proprio con una costante attenzione all’importante affare del Circo, per cui dichiarava d’avere la più forte inclinazione; vet. in August. c. 45.